Sostiene Pereira – Antonio Tabucchi

Pereira

È un 10 agosto, di quelli roventi in cui il divano ti sembra insieme un’isola deserta e un accidioso compagno. Le tapparelle abbassate suggeriscono che il tempo fuori stia scorrendo in silenzio, nemmeno le cicale ne vogliono sapere di uscire e i bambini, forse, giocano a palla sotto l’aria gelida di un condizionatore, mentre madri e nonne si preoccupano per i loro angeli, no non quelli in carne e ossa, quelli di Thun che rischiano di schiantarsi in mille pezzi colpiti da giochi svogliatamente scalmanati.

Ho bisogno di storie, di quelle che ti portano in viaggio senza regalare 40 euro a Ryanair, e in questo momento sono affascinato dal Portogallo, con i suoi ritmi lenti e il vento oceanico, l’azzurro delle maioliche a contrastare muri scrostati. In un angolo della libreria vedo sbucare Sostiene Pereira e penso che, seppur in ritardo, sia il caso di colmare una lacuna che mi porto dietro da troppo tempo: leggere un romanzo di Antonio Tabucchi. L’ho sentito parlare con crescente interesse, ho sfogliato qua e là alcuni suoi racconti, ma non ho ancora mai avuto modo di tuffarmi tra le pagine del libro che più di ogni altro l’ha consacrato.

Ho in mano una vecchia edizione dell’Euroclub, sono un po’ scettico perché è un po’ cheap, basta guardare quella coperta insipida. Stride con la Lisbona sfavillante, soleggiata e ventilata, che mi accoglie fin dalle prime pagine. La brezza atlantica porta con sé Pereira, un giornalista anziano, pigro, corpulento che, dopo aver abbandonato la cronaca nera, ora dirige la pagina culturale del Lisboa, un giornale pomeridiano senza particolari velleità. Tutto è ordinario: i litri di limonata (con zucchero) e le omelette alle erbe aromatiche, così come le salite affannose e tortuose che ci conducono alla scoperta di una città avvolta dal caldo, dalla Cattedrale al Castello, fino a quell’anonimo ufficio di Rua Rodrigo de Fonseca.

La redazione è lui, sostiene Pereira, e in effetti a fargli compagnia nella sezione staccata del giornale c’è solo un ventilatore ronzante e un panino con la frittata al formaggio, spesso avvolto tra fogli e chiuso in un cassetto in attesa di essere azzannato da morsi tanto voraci quanto sbadati. Se fino a questo momento siamo stati in un mondo sospeso nel tempo, nel quale Pereira riflette sulla morte e sulla rincarnazione dell’anima, la Lisbona del 1938 bussa alla porta, per la prima volta, con il volto di Monteiro Rossi. Il giovane viene scelto da Pereira come collaboratore del giornale, ma fin da subito la sua svagatezza compare in quel ciuffo ribelle che cade scomposto sulla fronte. Con lui arriva Marta, bella di una bellezza fresca e aspra come una limonata, con la sua salopette incrociata che le lascia scoperte le spalle morbide e i capelli color rame che le conferiscono uno spirito sbarazzino e allo stesso tempo combattivo.

L’Europa è in fermento, tra spinte nazionaliste e lotte interne che però ormai hanno confini sbiaditi, ma il nostro Pereira questo non lo sa, o non lo vuole vedere curvo sugli amati libri francesi, etici e cattolici, dell’Ottocento che traduce con perizia. Sua moglie è morta, ma gli sorride con un sorriso lontano mentre lui le racconta di questo giovane ragazzo che non riesce a decifrare: gli articoli di prova non sono buoni, troppo eversivi per essere pubblicati. Quel Monteiro Rossi che aveva scritto la sua tesi di laurea sulla morte non era interessato a tratteggiare necrologi, la vita gli scorre nelle vene e gli scompiglia i capelli e poi, quella tesi l’aveva pure copiata, senza che nessuno se ne accorgesse.

Vita e morte aleggiano su una Lisbona che pagina dopo pagina si scopre più livida, pronta ad accogliere il dittatore Salazar, che da lì a poco si sarebbe insediato. È qui che un romanzo su un uomo solo, un vaso di coccio pronto a spezzarsi, cambia e prende corpo. La puzza di fritto che pervade le scale dell’ufficio e la portinaia spia invadente, improvvisamente diventano un problema secondario, iniziano ad arrivare telefonante dal direttore del Lisboa che mettono sull’attenti Pereira che però, ancora assonnato dopo una notte di sogni e ricordi, di sicuro non pensava che avrebbe mai sentito scorrere sulle sue mani il caldo del sangue, di un sangue giovane e ribelle, di una ribellione inconsapevole, forse, ma vorace come lo è solo la voglia di vivere e di amare.

Tabucchi sostiene che Pereira lo venne a trovare per la prima volta una sera di settembre del 1992. In quel momento però il personaggio non aveva un nome, era un corpulento giornalista portoghese morto qualche tempo prima, che in vita aveva denunciato il regime lusitano per poi scappare, non senza difficoltà, a Parigi. Il ritorno in patria non era stato trionfale, come dimostrava il funerale che lento scorse tra vecchi colleghi e poche altre personalità, come se i giovani avessero dimenticato di rendere omaggio a chi gli aveva regalato la libertà mettendoci il corpo e il sangue.

Pereira è un personaggio che inizialmente può sembrare macchiettistico: il corpo grasso che annaspa per le vie in salita di Lisbona, la mente occupata dai romanzi francesi d’antan, una voracità nel divorare frittate e un bicchiere di limonata sempre con sé per lenire gli scombussolamenti degli intestini. È un uomo che non ha avuto figli e che trovandosi a fare il bilancio della sua vita, specchiandosi nella foto della moglie, sente una mancanza che non sa come decifrate. Il giovane Monteiro Rossi gli provoca sentimenti ruvidi, uno slancio di protezione e un’incomprensione di fondo, e forse non è questo che caratterizza la maggior parte dei rapporti padre-figlio? Pereira per aprire gli occhi ha bisogno che questa catena stanca di pensieri si spezzi, che la morte evocata fin dalle prime pagine ricompaia nella sua vita, con la sua spinta distruttiva e insieme portatrice di una forza che rompa le righe e obblighi ad agire, per la prima volta senza paura.

Mentre il libro torna nel suo angolo di libreria marrone, penso che tra le pagine c’è la storia di un’affermazione difficile, di una rivoluzione che per essere tale ha bisogno di non avere i pugni in tasca. Il percorso per far sentire la propria voce, il dissenso, è oggi più che mai d’attualità, perché è vero che un pensiero affidato al web può arrivare a migliaia di persone, ma il rumore di fondo è assordante e tutto rischia di perdersi e sciogliersi come un cubetto di ghiaccio in una limonata fresca al sole di Lisbona.

Scheda libro

Titolo: Sostiene Pereira

Autore: Antonio Tabucchi

Anno uscita: 1994

Editore: Feltrinelli

Pagine: 224

 

5 commenti

  1. Bellissimo post!
    Ho ritrovato questo libro raccontato in maniera mirabile.
    Libro che avevo portato a Lisbona come lettura nei momenti di quiete. Ero stata felice della scelta, mi era sembrato di comprenderlo ancora meglio.
    Buone letture!

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